La Matematica trae forza dal suo simbolismo e dalla sua validità logica che è tanto più vera quanto più è generale.
di Arturo Stabile
* “La firma in bianco” di René Magritte.
Laureato in Fisica con Ph.D. in Fisica, è docente di Fisica, Geometria e Matematica. www.arturostabile.com
I NUMERI: COSA SONO, COME RAPPRESENTARLI E QUALI RELAZIONI TRA ESSI
Pensiamo per un attimo a quando ci siamo avvicinati da piccoli al mondo dei numeri oppure quando abbiamo provato ad insegnare ad un bambino l’uso dei numeri e delle operazioni. Tutti noi abbiamo utilizzato oggetti come caramelle, fagioli, penne e quant’altro. Non è assolutamente facile se non impossibile spiegare i numeri e le relazioni tra essi senza l’ausilio di esempi. Provate a spiegare cosa significa due, per esempio, senza farlo seguire da qualche oggetto (2 caramelle, 2 fagioli, ecc).
Solo dopo essersi resi conto che molte relazioni sono vere indipendentemente dalla circostanza, è possibile passare all’astrazione, dove le regole cominciano a proliferare e il disorientamento di alcuni comincia ad emergere. Non passa molto tempo e ciò che rimane per molti è riassumibile in due affermazioni: “L’aritmetica, o in generale la matematica, non fa per me; non sono mai riuscito a capirla e soprattutto non capisco a cosa serva” è la più frequente, mentre l’altra è chiamata in causa ogni qualvolta vi è una discussione e c’è chi sentenzia “non è come in matematica che due più due fa quattro e non si discute”.
I lettori concorderanno che la prima affermazione è priva di fondatezza e spero che nessuno, pur dovendo mentire a sé stesso, non abbia dovuto attendere di leggere queste righe. Meno scontato il responso alla seconda affermazione che è anch’essa falsa, o meglio potrebbe non essere sempre vera.
Procediamo sottoponendo alla vostra attenzione due tipologie di esercizi; la prima consiste dell’individuare quali sono le operazioni errate tra le seguenti
0 + 1 = 1 , 1 + 1 = 10
10 + 1 = 11, 11 + 1 = 100
Quante le errate? Nessuna, sono tutte corrette! Ancora, calcolare le seguenti addizioni
23 + 11 = ?, 10111 + 1011 = ?
Anche in questo caso il risultato presenta una sorpresa, poiché in entrambi i casi il risultato corretto è 100010. Alcuni avranno già intuito la motivazione dell’apparente incongruenza dovuta alla scelta di due sistemi numerici diversi: il binario composto dai simboli 0 e 1 e il “nostro” sistema decimale composto dai ben noti simboli 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9.
Lungi da me l’idea di voler tediare l’amico lettore con questioni tecniche e “fredde” (per alcuni) ma vorrei partire dal primitivo concetto di numero e, quindi, far emergere la logica e le convenzioni adottate per generare un nuovo linguaggio, perché non si tratta altro che di uno strumento di comunicazione, il più coerente possibile e non suscettibile di interpretazioni da parte di colui che veicola o riceve un messaggio.
Il punto di partenza è semplice: cosa significa 1? 2? … e così via? Oppure, che cos’è il numero? Volendo andare dritti al cuore del problema il numero è un nome che viene associato ad una determinata circostanza. Consideriamo, per esempio, l’esigenza del pastore di avere ben chiaro se tutte le pecore sono rientrate o meno in stalla al termine della giornata. Egli conta le pecore semplicemente inanellando una serie di parole e ad ognuna di queste fa corrispondere l’idealizzazione di una circostanza. Inizialmente nella stalla non ci sono pecore, quindi apre la porta ed inizia a farle entrare. La prima ad entrare è contata come “uno” poiché egli pensa alla situazione della stalla al cui interno vi è la pecora. La seconda è contata come “due”, poiché ora associa la nuova situazione della stalla con all’interno le pecore fin qui entrate. La terza, la quarta e così via. Se la sequenza è coerente e non viene mai cambiata nel suo sviluppo allora è possibile parlare di un sistema “pratico” per stimare il volume di pecore, valutando anche eventuali perdite rispetto alla sera precedente. Nel mondo antico non vi era il concetto di numero come noi oggi lo conosciamo, e soprattutto non vi era nessuna regola per la costruzione di grandi numeri; era impossibile rappresentare un numero che andasse al di là della sperimentazione diretta.
Lo strumento che ha permesso di cambiare il modo di contare sono state le nostre dita poiché è stato possibile associare le varie situazioni a precise regole nell’apertura e chiusura delle nostre mani. Tale relazione non avendo ambiguità di corrispondenze (per i matematici si parlerebbe di relazione biunivoca tra l’insieme delle forme realizzate con le mani e le circostanze della stalla) ha reso possibile svincolare il formalismo delle dita dalla circostanza in esame. Solo ora il bambino non ha più la necessità degli oggetti e può iniziare uno studio astratto dell’aritmetica.
Fin qui tutto bene, anche se è chiaro pure al bambino che non sarebbe stato possibile contare pecore più di quante sono le dita. Bisogna escogitare un metodo capace di generare numeri andando oltre il limite delle mani. “L’unica soluzione è chiamare un amico che possa contare sulle sue dita quante volte il primo addetto alla conta abbia completato il giro sulle sue”. Se tale metodo funziona allora non abbiamo più problemi, perché quando il secondo avrà completato la conta di quante volte il primo ha terminato il suo conteggio non resterà che chiamare un terzo amico, e poi un quarto e così via. Questa intuizione è ciò che noi chiamiamo sistema decimale (basato su dieci simboli).
Ogni numero è rappresentato con una sequenza di giri di dita su diverse mani. Il numero dieci, che segue il numero chiamato nove, rappresenta il completamento del primo giro e nessun secondo giro è iniziato. Questo numero è indicato come “uno zero” (=10). Il successivo è ottenuto dopo il giro completo ed un secondo giro è appena iniziato (=11). Il numero 35, per esempio, rappresenta 3 giri completi ed un quarto giro giunto al numero 5. Insomma, con questa tecnica è possibile rappresentare un’infinità di numeri utilizzando un numero finito di simboli, perché è sufficiente aumentare i posti (le cifre) per la rappresentazione dei numeri. Le cifre, quindi, sono il ricordo di quante coppie di mano avremmo avuto bisogno. Il parallelo con la lingua è immediato: le parole sono i numeri (non c’è limite alla loro creazione) mentre l’alfabeto (costituito da un numero finito di simboli) sono le dita.
Un giro completo di dita è detto dieci (= 10), un giro completo di giri completati è detto cento (=100), e dieci volte ancora diremo mille (=1000); è solo una questione di cifre e non vi sarà più limite alla costruzione. Ogni numero sarà decomposto in tanti giri su diverse mani: 7064 = sette giri da mille + nessun giro da cento + sei giri da dieci + quattro giri da uno. In maniera ancora più compatta
7064 = 7 * 1000 + 0 * 100 + 6 * 10 + 4 = 7 x 103 + 0 * 102 + 6 * 101 + 4 * 100
dove 103 è solo un modo compatto di scrivere 1000, 102 al posto di 100 e 101 = 10 e 100 = 1 (le potenze di dieci).
Non resta ora che costruire le operazioni tra numeri che non sono altro che relazioni codificate tra diverse circostanze. Con il simbolo + si intende l’unione di due diverse circostanze richiedendo di considerarle come se fossero un’unica sola ma diversa da quelle di partenza. In simboli scriviamo: 1 + 1 = 2. In pratica la stalla con una pecora è unita con un’altra, sempre con una sola pecora al suo interno, e si richiede di associarla alla circostanza della stalla con due pecore. In maniera analoga si introduce un’operazione di sottrazione che tende ad eliminare una parte in comune da circostanze diverse: 3 – 2 = 1. La divisione, invece, vuole realizzare una partizione di una stalla in stalle più piccole aventi lo stesso numero di pecore ma con la condizione che se queste ultime sono sommate si deve riottenere il numero di partenza: 6 : 3 = 2. Resta, infine, la moltiplicazione che è una “somma potenziata”.
Ritornando alla domanda da cui tutto è partito, è ovvio, che le prime operazioni sono da intendersi tra numeri che non sono espressi in “lingua decimale”, bensì in quella binaria. Le mani in questo caso hanno solo due dita a cui associamo i simboli 0 e 1. Il numero decimale 2 non può essere rappresentato nel primo giro ma giunge al secondo giro e quindi la sua rappresentazione è “uno zero” (=10), mentre per il 3 abbiamo “uno uno” (=11), il 4 diviene “uno zero zero” (=100), il 5 “uno zero uno” (=101), e così via.
Il ruolo del dieci del sistema decimale è ricoperto nel binario dal due, motivo per cui è possibile una decomposizione in potenze del due
10 = 1 * 21 + 0 * 20 = 2
11 = 1 * 21 + 1 * 20 = 3
10111 = 1 * 24 + 0 * 23 + 1 * 22 + 1 * 21 + 1 * 20 = 23
e così via.
L’aspetto in comune delle due numerazioni è che esiste una sola decomposizione per ogni numero ed è fondamentale il posizionamento delle cifre poiché, 23 e 32, in base decimale, sono due numeri differenti come lo sono 1011 e 1101 in base binaria. Inoltre è sempre possibile definire anche qui le operazioni tra numeri binari ma eviterei volentieri in questa sede tecnicismi che snaturerebbero il senso della riflessione e ci allontanerebbero dall’idea di numero.
La storia dei numeri non termina qui, anzi, è appena agli inizi. I cosiddetti numeri naturali, quelli che si contano sulle dita, stanno alla Matematica come l’australopiteco Lucy, l’ominide che 3,2 milioni di anni fa passeggiava nella savana africana, sta all’astronauta. Da un lato, le esigenze pratiche, quasi sempre non soddisfatte dai numeri naturali per contesti ben più complessi (rispetto al conteggio delle pecore), dall’altro la speculazione umana, capace di svincolarsi dal contingente, hanno sempre spinto in avanti l’orizzonte dello studio di concetti e relazioni tra questi ultimi.
L’idea che in matematica 2 + 2 = 4 oppure che 2 x 3 = 3 x 2 siano verità universali non è corretta e non fa bene nemmeno alla stessa matematica. Essa trae forza dal suo simbolismo e dalla sua validità logica che è tanto più vera quanto più è generale. Le convenzioni adottate sono giustificate da una richiesta di comodità nella rappresentazione del concetto e non in una sua semplificazione.
La categoria dei numeri è sempre in evoluzione passando, dunque, a strutture più generali rispetto al semplice numero naturale. Così si è passati ai cosiddetti numeri interi relativi (0, +\- 1, +\-2, +\- 3, +\-4, …). All’interno di questi nuovi numeri è possibile eseguire operazioni che il pastore, in base al suo buon senso, non avrebbe mai svolto, come per esempio 2 – 3 = -1 oppure sommare due numeri il cui risultato è zero. L’introduzione di questa nuova tipologia rende superflua l’operazione di sottrazione poiché la differenza tra due numeri naturali diviene la somma di due numeri interi relativi: 3 – 2 = 3 + (-2) = 1.
I numeri interi negativi sono “uguali” ai numeri positivi soltanto che essi sono il riflesso di questi ultimi, come quando ci si guarda allo specchio. L’immagine dista dal piano dello specchio esattamente di quanto dista la sorgente dall’altra parte. Il 2 e -2 sono sorgente e immagine mentre lo zero, l’elemento che separa il mondo dei naturali positivi da quelli negativi, è l’equivalente dello specchio che separa il mondo reale dal virtuale. La loro unica differenza risiede nell’apposizione davanti al numero negativo di un segno meno ad evidenziare che esso si trova al di là dello zero; è evidente che dal punto di vista del -2 è il 2 ad essere il suo riflesso e cioè 2 = – (-2). Sintetizzando possiamo affermare “meno per meno vale più”.
Le relazioni tra i numeri sono tante e altre operazioni apparentemente non possibili sono dietro l’angolo. In effetti 3 : 2 diviene un’operazione non fattibile perché risulta impossibile dividere in due parti uguali il numero 3 (il pastore direbbe che non può dividere tre pecore a due persone, a meno che ognuno non ne prenda una sola – il quoziente – e la terza – il resto – se la tiene per sé). C’è bisogno di un nuovo upgrade numerico, bisogna avere numeri più piccoli di uno, oppure numeri compresi tra due numeri interi consecutivi. Non resta che “richiamare l’amico” e chiedere ancora di contare tra 0 e 9, ma adesso, inserendo il conteggio tra due numeri interi consecutivi. Basta disporre, quindi, di altre cifre, non a sinistra questa volta, bensì a destra dell’unità, dove, dovendo contare più velocemente di quanto contava l’addetto alle unità, inseriamo una virgola per distinguere la parte intera da queste nuove cifre “decimali”. Adesso si può procedere con 3 : 2 il cui risultato è un nuovo numero che gode di una proprietà del tutto nuova, vale a dire un numero che moltiplicato per 2 ci dà come risultato 3. Questo numero ancora prima di sapere quanto vale lo si indica concettualmente con il simbolo 3/2.
In tal modo si introducono i numeri razionali, cioè espressi come rapporto di due numeri interi primi fra loro (ratio in latino significa rapporto): 1/2, 1/3, 1/4, …, 2/3, 2/5, 2/7, …, 3/5, 3/7, … e così via tenendo conto che possono essere anche negativi. Con l’introduzione dei razionali anche l’operazione di divisione diviene superflua e può essere riassorbita nell’operazione di prodotto.
Concludiamo questo primo racconto introducendo un’ultima, ma non definitiva, categoria di numeri. Se fin qui la tipologia di numero più generale è la razionale, che contiene gli interi relativi e questi ultimi a loro volta contengono i naturali, bisogna registrare ancora un problema di definizione di operazioni. Uno dei tanti problemi insormontabili per i numeri razionali è, per esempio, definire la lunghezza della diagonale di un quadrato di lato 1. Infatti, la diagonale risulta uguale ad un numero, detto radical due e indicato con il simbolo √2, definito dalla proprietà che se moltiplicato per sé stesso dà due. Detto numero, come tanti altri, non gode della proprietà di essere espresso come rapporto di interi primi fra loro (appunto razionali). Infatti, ponendo √2 = m/n, con m e n numeri naturali primi fra loro, otteniamo m2 = 2 n2 da cui si deduce che m è pari ed è esprimibile come m = 2 k con k generico numero naturale. Qui emerge la contraddizione poiché si avrebbe n2 = 2 k2 da cui anche n sarebbe pari contravvenendo l’ipotesi di partenza (m e n numeri primi fra loro). Insomma √2 sfugge alla regola dei razionali e quindi apre ad un nuovo mondo popolato da numeri irrazionali e poi anche da immaginari rendendo tutto “complesso” … ma questa è un’altra storia.