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Musica classica indiana

È impossibile cogliere il senso di questa musica senza prima ascoltarla in prima persona. Citando Frank Zappa: “Parlare di musica è come ballare di architettura.”

di Paolo Aluigi

* “Sarasvati”, la dea indu della conoscenza, arte, letterattura, musica e poesia.

Ventitreenne bassista, di formazione Jazz, originario di Rimini ma cittadino del mondo ha completato il conservatorio “Francesco Venezze” a Rovigo con una tesi sulla musica Romanì (gypsy). Vive attualmente a Bologna.

UNA INTRODUZIONE AL MONDO ORIENTALE DELLA MUSICA INDIANA

Prima di leggere questo articolo vi propongo l’ascolto del seguente rāga: Ustad Faiyaz Wasifuddin Dagar – Raag Khamaa: Dhamaar

Canto, ritmo, corpo, sono temi fondamentali nella cultura indiana. Così importanti da avvolgere ogni aspetto della vita spirituale e secolare di chi vive secondo i crismi di questa tradizione1. In Occidente la cultura indiana è stata oggetto di studio sin dalla colonizzazione inglese dell’India, ma presto uscì dalla cerchia ristretta di studiosi orientalisti e divenne parte della cultura popolare. Dagli anni ‘60 il fascino di questa tradizione colpì le nuove generazioni in Occidente e molte furono le persone in tutta Europa che si cimentarono nella lettura dei testi sacri indiani, approfondendo i Veda o il Mahabharata. La musica indiana raggiunse quindi le orecchie dei musicisti di tutto il mondo, che notarono subito la ricchezza e il fascino di quel linguaggio musicale. Subito si operarono per decifrarlo e razionalizzarlo. Uno dei più importanti tra coloro che si mossero per la trasmissione della musica indiana in Occidente è Alain Daniélou (1907-1994)2.

Egli nel suo testo considera diversi aspetti fondamentali caratterizzanti la musica tradizionale nord indiana. Il primo e il più importante è la struttura modale3 della musica. Non c’è tonalità4, la narrazione musicale non passa attraverso successioni armoniche, ma solo tramite la melodia e il ritmo. La seconda caratteristica è il carattere improvvisato della musica. La musica secondo la tradizione indiana è linguaggio. Durante l’esecuzione di un rāga5 i musicisti dialogano tra loro, senza partitura o successione di accordi. Per questo motivo è una musica principalmente monofonica, adatta a solisti. È molto raro infatti vedere delle orchestre di musica classica indiana6.

Una terza caratteristica riguarda l’aspetto ritmico di questa musica7. La pulsazione è quasi sempre composta da cellule ritmiche brevi inserite in un contesto più vasto. Per esempio:

Questo è un esempio di Dhamār Tāla (Tāla significa ritmo). Trascrizione da Gourishankar Karmakar (tabla) e Indradeep Ghosh (violino). Si veda di seguito Indradeep Ghosh – Raga Shree in Dhamar tala (minuto 15 e 30 secondi).

Questa trascrizione semplice di un esempio di Tāla mostra sia la natura matematica, perfettamente logica del ritmo nella musica nord indiana che la sua ambiguità nella pulsazione. Ananda Coomaraswamy afferma infatti che: “il modo migliore di approcciare la ritmica indiana è prestare attenzione al fraseggio e ignorare la pulsazione8. Inoltre si può prestare attenzione ai contesti in cui veniva eseguita questa musica. Essa era musica per le corti nobiliari9, quello che si potrebbe definire come il corrispondente indiano della musica classica colta europea. Il gusto indiano però cercava qualcosa di differente rispetto alla bellezza armonica e melodica della composizione. La concentrazione è posta sul rāga, che possiede un’identità a sé stante. Si potrebbe dire che ogni rāga viva in una sorta di mondo superiore, il musicista quindi è tenuto a portarlo nel mondo terreno cercando di snaturarne il meno possibile le fattezze. Spesso il  rāga viene rappresentato dalla figura di un dio. In questo senso, l’ascoltatore non ascolta il canto del rāga, ascolta il rāga stesso. L’attenzione quindi non è posta sulla bellezza esteriore della voce, ma sull’essenza del rāga. Non sono necessari voli pindarici, né qualsivoglia virtuosismo fine a sé stesso. In questo senso la musica classica indiana acquisisce una dimensione di spiritualità più profonda, diventa un momento di vicinanza con il divino.

Un’ulteriore caratteristica riguarda l’insegnamento della musica, che avviene per via orale, e avviene all’interno di uno stretto rapporto tra insegnante e allievo. Spesso infatti gli allievi sono proprio i figli del maestro, che ha il compito di tramandare ogni dettaglio della conoscenza che gli è stata data dal suo maestro. In questo modo vengono a formarsi vere e proprie scuole di musica di stampo familiare, con linee ininterrotte di svariate generazioni10.

Suonatore di liuto di Caravaggio

È impossibile cogliere il senso di questa musica senza prima ascoltarla in prima persona.  Citando Frank Zappa: “Parlare di musica è come ballare di architettura.” Propongo di seguito quindi una serie di dischi (ascoltabili in rete) di musica classica indiana11.

  1. Dagar Brothers, “Rag Kambhoji”, India, Music Of the World — T 114, 198612.
  2. Autori vari, “Anthologie De La Musique Classique De L’Inde (Hommage À Alain Daniélou)”, Francia, Auvidis — D 8270, 199713.
  3. Girja Devi, “Girja Devi Of Banaras”, India, His Master’s Voice — ECLP 2334, 1967.
  4. Lomax Alan, Daniélou Alain, “India”, US, Columbia Masterworks — KL 215, 1955.
  5. Ustad Hafiz Ali Khān, “Raga II Chandrabhankar”, India, His Master’s Voice — EALP 1398, 1973.
  6. Dagar Brothers, “Music of India Vol. 5”, Francia, Columbia — 2C 062 80105, 196914.

Una delle prime cose che si possono notare è il fatto che spesso nei dischi l’ālāpa viene separato dal resto del rāga, anche se ne fa parte a pieno titolo. L’ālāpa (spesso scritto in Occidente come alap) è una composizione (ovviamente estemporanea) che serve a introdurre gradualmente la scala musicale (ṭhāṭa15) del rāga. La caratteristica principale dell’alap è la sua completa libertà da ogni vincolo ritmico16. Nel caso in cui venisse cantato le parole corrisponderebbero, nella maggior parte dei casi, a specifici mantra o in alternativa ai nomi delle note17. Il colpo di una percussione segna la fine dell’alap, quindi il percussionista inizia ad accompagnare il solista o i solisti. Spesso si inizia con un ritmo rilassato e disteso per poi arrivare a suonare su ritmi più concitati.

Nel primo disco in riferimento possiamo ascoltare una esecuzione del rāga Kambhoji:

Qui troviamo il caso di un rāga che condivide tutte le note con il modo misolidio18 Occidentale. Molto spesso si troveranno rāga che presentano intervalli diversi da quelli che siamo abituati a conoscere. Infatti l’ottava indiana è divisa in 22 șruti19, non è però un temperamento equabile20. Semplificando, ogni nota delle 12 occidentali ha 2 forme possibili per essere suonata, ad eccezione della prima giusta e della quinta giusta, che rimangono sempre invariate21. Si possono trovare anche rāga che condividono le stesse note, per esempio nel caso di Bhupali e Deshkar. Ciò che li differenzia sono le 2 note più importanti del modo: Vadi e Samvadi22. Il rāga viene costruito attorno a queste due note, che sono parte della sua caratterizzazione. Come si può sentire, la prassi musicale indiana è diversa da quella occidentale anche negli ornamenti (gamaka23), che possono scendere in tortuosi registri bassi o ribattere una nota acuta come cinguettando. La lontananza geografica e culturale però viene colmata subito dalla raffinatezza dell’arte indiana, che affascina e colpisce nel profondo. Purtroppo questa tradizione vive oggi un periodo difficile, pur l’elevatissimo numero di persone in India, quasi nessuno può permettersi di vivere dedicando la propria vita all’apprendimento e alla trasmissione di quella forma d’arte. Se si è affascinati dalla musica classica indiana credo sia importante ascoltarla e farsi trasportare, così da renderla parte del proprio bagaglio culturale e fare in modo che altre forme di musica vengano influenzate da essa.

Note

I Per portare degli esempi: le quattro Saṃhitā  sono i Veda più antichi, scritte fino a 4000 anni fa, e sono una raccolta di inni e di mantra. L’antichissima tradizione e pratica dello Yoga ha le sue basi nel ritmo del respiro e nella consapevolezza del proprio corpo.

2 Noto musicologo e storico orientalista. Dagli anni sessanta, in Occidente, Daniélou pubblica diverse monografie riguardanti la musica e le tradizioni indiane.

3 Il concetto di modalità è molto antico e definisce una struttura di pensiero che utilizziamo per razionalizzare ciò che sentiamo o suoniamo. Se la modalità è il sistema generale, il modo è il soggetto specifico. Un modo musicale è definibile come l’insieme tra la sua struttura intervallare (che è ciò che forma la scala musicale), la sua prassi ornamentale e la sua prassi comunicativa (nel caso del canto gregoriano per esempio, la musica è sempre legata ad un testo).

4 La tonalità è la struttura di pensiero contrapposta alla modalità. Nella tonalità viene definito un centro tonale che dà una funzione specifica ad ogni nota, anche al di fuori della scala. Come un centro di gravità, che inquadra tutte le altre note.

5 Semplificando, i rāga sono il corrispettivo indiano dei “modi” musicali in Occidente, le differenze intercorrono nel temperamento (che non è il noto temperamento equabile europeo) e nei significati extra musicali che accompagnano ogni rāga. Questi comprendono frasi melodiche ricorrenti, ornamenti tipici e possibili modulazioni che definiscono il carattere del rāga. Per ulteriori informazioni consultare: Rôya Caudhurī Vimalakānta, “The Dictionary of Hindustani classical music”, Delhi, Motilal Banarsidass Publishers, 2000, pp. 96–101

6 Daniélou Alain, “Il Tamburo di Shiva. La tradizione musicale dell’India del Nord”, Padova, CasadeiLibri, 2007.

7 La musica a cui sto facendo riferimento è la musica della tradizione Dhrupad. Ovvero uno stile della più ampia classificazione “musica classica Hindustani”. È suonata nei palazzi e nelle camere di nobili, re e imperatori. Decine se non centinaia di tradizioni diverse tra loro hanno avuto origine in India. Te Nijenhuis Emmie, “Indian music, history and structure”, Leiden/Köln, E. J. Brill, 1974.

8 Coomaraswamy Ananda, “Indian Music.” The Musical Quarterly, vol. 3, no. 2, 1917, pp. 163–172.

9 A questo proposito, è interessante il lavoro di Katherine Butler Schofield, che parla approfonditamente dell’evoluzione di questa musica in relazione al pubblico che aveva, facendo particolare attenzione agli effetti della colonizzazione. Butler Schofield Katherine, “Reviving the Golden Age Again:‘Classicization,’ Hindustani Music, and the Mughals.” Ethnomusicology, vol. 54, no. 3, 2010, pp. 484–517.

10 Per informazioni sulle più importanti tradizioni familiari visitare: https://www.dhrupad.info/maestros.htm

11 La ricerca di materiale riguardante la musica classica indiana può essere ardua. A questo proposito può essere utile questa pubblicazione: Daniélou Alain, “A catalogue of recorded classical and traditional Indian music : with an introduction on Indian musical theory and instruments / by Alain Daniélou“, Paris, UNESCO, 1952. Un ulteriore strumento può essere questo sito: https://www.rudraveena.org/theBlog/oriental-traditional-music.blogspot.com/index.html che contiene centinaia di registrazioni consultabili e scaricabili.

12 Nasir Zahiruddin Dagar (1933 – 1994) e Nasir Faiyazuddin Dagar (1934 – 1989) sono conosciuti come i giovani fratelli Dagar. Sono i figli più giovani di Nasiruddin Khan. Fratelli del duo conosciuto come “Senior Dagar Brothers”. Per maggiori informazioni sulla Behram Khani Dagar Tradition (tradizione della famiglia Dagar), consultare il sito: https://www.dhrupad.info/maestros.htm

13 Il disco comprende diverse delle registrazioni che fece Alain Daniélou in India. Per maggiori informazioni sul disco e sulla biografia di A. Daniélou visitare il sito: https://www.alaindanielou.org/it/

14 Nasir Moinuddin Dagar (1919 – 1966) e Nasir Aminuddin Dagar (1923 – 2000) sono i fratelli più anziani dei già citati “giovani fratelli Dagar”. Vedasi nota 21 per ulteriori informazioni.

15 Il ṭhāṭa è la scala musicale che è parte della caratterizzazione di un rāga. Rôya Caudhurī V., “The Dictionary of Hindustani classical music”, p. 148.

16 Ivi, pp. 6 – 14.

17 Op. cit., Daniélou A., “Il Tamburo di Shiva. La tradizione musicale dell’India del Nord”.

18 Il modo misolidio ha la scala che differisce dalla scala maggiore di una sola nota: la settima, che è abbassata di un semitono.

[1] Gli șruti sono il corrispettivo degli intervalli nella musica indiana. A proposito di questo argomento si possono trovare in questo articolo interessanti considerazioni e particolari teorie: Clough John, Jack Douthett, N. Ramanathan, Lewis Rowell, “Early Indian Heptatonic Scales and Recent Diatonic Theory.” Music Theory Spectrum, vol. 15, no. 1, 1993, pp. 36–58.

20 Il temperamento equabile è un sistema di accordatura e intonazione. Nel temperamento equabile la distanza tra una nota e la stessa nota più acuta è divisa in n parti uguali (nel caso del temperamento equabile in occidente, 12 parti uguali). In questo modo gli intervalli conservano le proprie caratteristiche indipendentemente dalle note che vengono suonate. Per esempio, suonando contemporaneamente do e mi, l’effetto acustico che esce fuori è lo stesso che uscirebbe se suonassimo sol e si.

21 Kaufmann Walter, “Rasa, Rāga-Mālā and Performance Times in North Indian Rāgas.” Ethnomusicology, vol. 9, no. 3, 1965.

Referenze bibliografiche, discografiche e sitografiche

Butler Schofield Katherine, “Reviving the Golden Age Again:‘Classicization,’ Hindustani Music, and the Mughals.” Ethnomusicology, vol. 54, no. 3, 2010, pp. 484-517.

Clough John, Jack Douthett, N. Ramanathan, Lewis Rowell, “Early Indian Heptatonic Scales and Recent Diatonic Theory.” Music Theory Spectrum, vol. 15, no. 1, 1993, pp. 36–58.

Coomaraswamy Ananda, “Indian Music.” The Musical Quarterly, vol. 3, no. 2, 1917, pp. 163-172.

Daniélou Alain, “A catalogue of recorded classical and traditional Indian music : with an introduction on Indian musical theory and instruments“, Paris, UNESCO, 1952.

Daniélou Alain, “Il Tamburo di Shiva. La tradizione musicale dell’India del Nord”, Padova, CasadeiLibri, 2007.

Kaufmann Walter, “Rasa, Rāga-Mālā and Performance Times in North Indian Rāgas.” Ethnomusicology, vol. 9, no. 3, 1965, pp. 272–291.

Rôya Caudhurī Vimalakānta, “The Dictionary of Hindustani classical music”, Delhi, Motilal Banarsidass Publishers, 2000.

Te Nijenhuis Emmie, “Indian music, history and structure”, Leiden/Köln, E. J. Brill, 1974.

Autori vari, “Anthologie De La Musique Classique De L’Inde (Hommage À Alain Daniélou)”, Francia, Auvidis — D 8270, 1997.

Dagar Brothers, “Music of India. Vol. 5”, Francia, Columbia — 2C 062 80105, 1969.

Dagar Brothers, “Rag Kambhoji”, India, Music Of the World — T 114, 1986.

Girja Devi, “Girja Devi Of Banaras”, India, His Master’s Voice — ECLP 2334, 1967.

Lomax Alan, Daniélou Alain, “India”, US, Columbia Masterworks — KL215, 1955.

Ustad Hafiz Ali Khān, “Raga II Chandrabhankar”, India, His Master’s Voice — EALP 1398, 1973.

Biografia e discografia di Alain Daniélou: https://www.alaindanielou.org/it/

Blog riguardante la musica Indiana con centinaia di registrazioni scaricabili: https://www.rudraveena.org/theBlog/oriental-traditional-music.blogspot.com/index.html

Catalogo di grandi maestri di dhrupad e relative biografie. Il catalogo è organizzato in tradizioni familiari: https://www.dhrupad.info/maestros.htm

Gourishankar Karmakar e Indradeep Ghosh suonano alla School of Indian Percussion & Music ad Austin, Texas, USA: https://www.youtube.com/watch?v=GWOQaCk-qTw

Ustad Faiyaz Wasifuddin Dagar – Raag Khamaaj: Dhamaar https://www.youtube.com/watch?v=C3Q3W_WCtaM

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