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L’osservazione in fisica

“Lo scienziato non pensa con le formule : quindi le idee fondamentali della Fisica si possono esprimere con le parole” (A. Einstein)

di Alessandro Sorgente

* Muse inquietanti, Giorgio De Chirico

Docente di Matematica e Fisica, si interessa anche di analisi demografiche.

IL RUOLO DELL’OSSERVAZIONE NEL RAPPRESENTARE LA REALTA’

Le tracce di pensiero scientifico si perdono nella notte dei tempi antichi, sfumando verso il primo concetto unificante della fenomenologia della realtà naturale: la ripetibilità degli eventi. Questo concetto, benché semplice frutto di osservazione e registrazione mnemonica, non è da poco; richiede, infatti, di saper riconoscere la categoria a cui l’evento appartiene, a dispetto delle differenze che possono caratterizzare le condizioni iniziali, cioè lo stato del mondo in cui l’evento è “immerso” nell’istante, chiamato convenzionalmente iniziale, in cui si verifica e il suo “inventario di circostanze concomitanti all’evento”, così come appaiono a quell’istante convenzionale, peraltro qualsiasi (sicché possiamo cambiarlo di volta in volta).

Queste circostanze sono utili, al più, per stabilire data e luogo del fenomeno osservato; sono “mappa e cronometro” che localizzano l’evento ma non ne determinano il determinarsi. Dunque, lo spazio-tempo dell’osservazione è percepito come un universo di condizioni iniziali, in zone diverse del quale (nello spazio e nel tempo) cause analoghe producono analoghi effetti. La conclamata “regolarità” dei fenomeni non è altro che “la manifestazione dell’omogenea reattività dello spazio delle condizioni iniziali.” (C. Bernardini)

Galileo Galilei e Isaac Newton: i padri della Meccanica classica

Ma c’è di più: la maggior parte delle osservazioni sulle condizioni iniziali ne sanciscono la non-influenza su eventi come quello che stiamo osservando e registrando: un vaso di fiori che cade da un balcone non cadrà diversamente se è giorno o notte, né se il vaso è bianco o rosso, né se i fiori sono garofani o azalee. Forse l’espressione “condizioni iniziali” è inappropriata, non aiuta la comprensione intuitiva: ma ormai è nell’uso tecnico. Comunque, è questa partizione della realtà che dà senso alla ricerca sistematica dei rapporti di causa ed effetto semplificandoli enormemente: infatti, da quel momento in poi il fenomeno osservato si disaccoppia, in un certo senso, dalla realtà che lo circonda, dal contesto delle condizioni iniziali, si isola dalla ridondanza che ha effetti pressoché nulli su di esso. Il fenomeno (il sistema fisico) così isolato acquista le caratteristiche di un ben identificabile oggetto dell’attenzione, che è suscettibile di descrizioni sintetiche e che fa da oggetto delle rappresentazioni mentali razionali della realtà. Ogni diversa concezione non fa altro che ammettere l’esistenza di influenze eccezionali del contesto o di eventi non classificabili, detti comunemente “miracoli” o “prodigi”.

Il concetto di osservazione in fisica ha avuto una lunga ed elaborata gestazione, passando dalla concezione galileana secondo cui il fenomeno osservato è reale ed è indipendente dall’osservatore, a quella einsteniana che afferma che osservatori diversi in diverse condizioni iniziali di moto relativo possono confrontare dati di osservazioni dello stesso evento che sono tra loro diversi (contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi), fino ad arrivare ad una concezione completamente diversa della realtà fisica, in cui l’osservatore induce una perturbazione significativa al processo di misura e quindi esso, a differenza dell’osservatore galileano, o classico, è parte integrante del sistema di misura. (W. Heisenberg)

Michael Faraday e James CLerk Maxwell: i padri dell’Elettromagnetismo classico

Ora passiamo in rassegna l’evoluzione di due diverse concezioni della realtà che si sono avvicendate nel corso dei secoli che coincidono, in ultima analisi, con l’evoluzione del pensiero fisico. Mentre la fisica dell’Ottocento, e più in generale tutta la cosiddetta Fisica Classica, si presta ad una schematizzazione abbastanza semplice, la fisica del Novecento non può essere oggetto di valutazioni chiare, poiché la ricerca attuale non segue una via di sviluppo lineare. Tuttavia la ricerca, finora, è stata caratterizzata da un fondamentale dualismo di programmi. Il primo si è sviluppato nei primi decenni del secolo scorso a partire dalla crisi della meccanica nel suo impatto con l’elettromagnetismo e attorno alla teoria della relatività di Einstein. Il secondo, sviluppatosi alla fine dell’Ottocento, è quello quantistico che studia i fenomeni di interazione tra materia e radiazione. I due programmi, pur convergendo, in sostanza si riferiscono a due livelli ben diversi di osservazione: entrambe le teorie ammettono la fisica classica entro i limiti dell’esperienza quotidiana; la quantistica, però, diventa necessaria per fenomeni a livelli microscopici, come fenomeni atomici e nucleari, mentre la relatività è necessaria per studiare fenomeni, la cui velocità è prossima a quella della luce (300.000 km/s) o che interessano distanze molto grandi, come la scala astronomica. Di conseguenza, i due programmi vanno considerati distintamente poiché un’unificazione tra di essi non pare ancora vicina.

Partecipanti al V Congresso Solvey del 1927: Dei 29 partecipanti ben 17 hanno ottenuto durante la loro carriera il premio Nobel per la fisica.

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento sono stati fatti diversi tentativi per ricomporre il contrasto tra le teorie di Maxwell, che aveva esposto la teoria del campo elettromagnetico, secondo la quale le variazioni del campo magnetico inducono un campo elettrico e viceversa, e quelle di Newton, che aveva formulato la legge della gravitazione universale, in base alla quale due corpi si attraggono con forza direttamente proporzionale alla quantità di materia e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. L’ultimo tentativo è stato effettuato da Poincarè, che accetta il principio di relatività classica, secondo il quale i fenomeni fisici devono rispettare le stesse leggi se osservati da sistemi di riferimento che si muovono l’uno rispetto all’altro con moto rettilineo e uniforme.

Scuola di Atene di Raffaello Sanzio. In un solo affresco vi sono tutte le personalità del mondo della matematica e della fisica del mondo classico.

La svolta decisiva viene però nel 1905 quando Einstein pubblica la sua “Teoria della relatività”. Il nucleo centrale della sua teoria è che i fenomeni dell’elettrodinamica, così come della meccanica, non possiedono proprietà corrispondenti all’idea di quiete assoluta. Essi suggeriscono piuttosto che le stesse leggi dell’elettrodinamica e dell’ottica siano valide per tutti i sistemi di riferimento per cui valgono le equazioni della meccanica. Inoltre Einstein sostiene che la luce si propaga sempre nello spazio vuoto con una velocità che è indipendente dallo stato di moto del corpo che la emette. La teoria di Einstein comporta una riformulazione dei tradizionali concetti di spazio e tempo: la durata di un fenomeno su un corpo in movimento è maggiore di quella dello stesso su un corpo in quiete; due fenomeni simultanei rispetto ad un osservatore possono non esserlo rispetto ad un altro; la massa di un corpo aumenta con la sua velocità. Importantissima rimane la famosa legge che sta alla base di tanti fenomeni nucleari, secondo la quale la massa equivale ad una quantità d’energia: E = m c2 dove E è l’energia, m è la massa e c è la velocità della luce. Il passaggio dalla meccanica classica alla relatività è stato considerato da Kuhn come uno dei migliori esempi di rivoluzione scientifica.

La relatività ristretta (o speciale) si è affermata in breve tempo, superando ostacoli e opposizioni. Undici anni dopo, (1916) Einstein propone una nuova teoria (Relatività Generale) che supera la precedente. Egli afferma che le leggi della fisica sono le stesse se osservate da qualunque sistema di riferimento, purché si tenga conto anche degli effetti del campo gravitazionale: è il nucleo della teoria della relatività generale. Per giungere a tale risultato, Einstein parte dalla constatazione che la massa di un corpo è la stessa sia se misurata secondo la legge di gravitazione universale, sia secondo la legge della dinamica (la massa inerziale è uguale alla massa gravitazionale): da ciò consegue la possibilità di riferire ogni effetto accelerante ad opportuni campi gravitazionali. Ogni problema fisico, quindi, va risolto mediante lo studio delle proprietà geometriche dello spazio-tempo.

Albert Einstein

Un’altra diversa via di ricerca nasce dallo studio dei fenomeni di interazione tra la materia e le radiazioni. “Quanto” è il termine coniato da Planck per la soluzione di un problema di emissione elettromagnetica: il problema del “corpo nero”. Un corpo nero è un corpo capace di assorbire tutte le radiazioni che lo colpiscono. Si riteneva che la radiazione emessa da un corpo nero avesse una distribuzione di intensità valutabile per mezzo della teoria maxwelliana delle onde elettromagnetiche.

Durante l’ultimo decennio dell’Ottocento alcuni fisici, tra cui Planck, tentarono di trovare la forma matematica della legge di radiazione del corpo nero. Nel 1900, grazie all’affinarsi delle tecniche di misura in laboratorio, Planck riuscì a trovare una formula per il corpo nero che consentiva un buon accordo con i dati sperimentali. Questa formula comportava l’introduzione di una nuova costante universale (la famosa costante h di Planck) e l’ipotesi secondo cui l’energia, anziché variare con continuità, variava secondo i multipli interi di una certa quantità elementare e indivisibile alla quale si diede il nome di “Quantum”. Ogni radiazione, quindi, può essere quantizzata. La teoria dei quanti si fuse presto con lo studio della struttura dell’atomo, iniziato con Thomson nel 1897 con la scoperta dell’elettrone, la cui carica è stata determinata da Millikan.

Schroedinger, Heisenberg e De Briglie sono tra i padri della Meccanica Quantistica.

Ben presto vengono proposti per l’atomo due diversi modelli: secondo Perrin esso è formato da un nucleo centrale attorno al quale ruotano gli elettroni; secondo Kelvin in esso vi è una distribuzione uniforme di carica positiva all’interno della quale si trovano gli elettroni in condizioni di equilibrio. Nasceva allora il problema di quale fosse la situazione degli elettroni attorno al nucleo. La prima risposta venne da Bohr. Egli ipotizzò che gli elettroni ruotassero secondo orbite circolari ben precise, calcolabili secondo le leggi della quantizzazione energetica, e che gli atomi assorbissero ed emettessero energia mediante salti degli elettroni da un’orbita ad un’altra. Dalla constatazione che non è possibile rinunciare nello studio dei fenomeni meccanici ed elettromagnetici né al modello corpuscolare, né a quello ondulatorio, Bohr enunciò il principio di complementarità secondo il quale ogni fenomeno presenta in realtà due aspetti, uno corpuscolare, l’altro ondulatorio, entrambi veri e reciprocamente complementari ed escludentisi. Il principio di complementarietà sta alla base del principio di indeterminazione di Heisenberg. Questo principio stabilisce che non è possibile determinare contemporaneamente la quantità di moto e la posizione di una particella, con una precisione al di sotto di un certo limite, fissato dalla costante h di Planck. Una delle conseguenze più notevoli di questo principio è che, nel trattare un sistema fisico, il ruolo dell’osservazione e della misura è decisivo sul risultato che si ottiene. Con la scoperta di Heisenberg si è giunti a un profondo sconvolgimento non solo della concezione tradizionale dell’universo, ma anche e soprattutto del rapporto tra osservatore e osservato, ossia dello schema fondamentale di ogni ricerca scientifica sperimentale. Le leggi naturali non esprimono relazioni fisse della natura, ma possono soltanto dare una formulazione statistica dei fenomeni osservati e del loro esito probabile; questo non per un difetto degli strumenti di osservazione, ma per la struttura stessa del materiale osservato e per le inevitabili modificazioni e perturbazioni apportate dal processo di osservazione.

Dopo la scoperta dell’elettrone e della struttura nucleare dell’atomo, l’attenzione dei fisici si è concentrata su quest’ultimo. Nel 1925 Pauli formula il principio d’esclusione che consente di collocare gli elettroni attorno al nucleo, in modo coerente con le scoperte della chimica. È Bohr a chiamare protoni le particelle cariche positivamente, presenti nel nucleo. L’esistenza dei neutroni, particelle pesanti ed elettricamente neutre, viene dimostrata sperimentalmente da Chadwick.

Il quadro si è ulteriormente complicato con la scoperta di un gran numero di nuove particelle elementari, tra cui il neutrino. La scoperta del neutrone e quella del neutrino hanno comportato l’introduzione di altre due forze oltre a quella gravitazionale e a quella elettromagnetica: l’interazione forte e l’interazione debole. Mentre il tentativo di unificare le teorie delle quattro forze fondamentali della natura non ha ottenuto risultati decisivi, è invece avanzato il processo di semplificazione dei componenti elementari della natura. In questo campo si è pervenuti alla formulazione delle “quarks”, particelle sub-elementari, che sono ancora oggetto di studio. Rapida è stata, invece, l’acquisizione degli studi nucleari alle applicazioni tecniche.

La persistenza della memoria di Salvador Dalì

Dalle ricerche di Enrico Fermi viene scoperto che un atomo di uranio colpito da protoni può rompersi in due parti, liberando alcuni neutroni e un’enorme quantità di energia (fissione nucleare), e che i neutroni liberati, in determinate condizioni, possono spaccare altri nuclei di uranio in successione continua (reazione a catena). Queste due scoperte condurranno Fermi alla pila atomica ed altri studiosi alla bomba atomica. La teoria per le due diverse applicazioni è la stessa: nel primo caso la reazione a catena viene rallentata frapponendo particolari sostanze tra i vari blocchi di uranio, mentre nel secondo caso la reazione avviene con velocità enorme, sviluppando energia in pochissimo tempo. La prima è alla base del funzionamento delle centrali elettro-nucleari, la seconda, invece, dei micidiali ordigni bellici.

I mutamenti introdotti nella fisica dopo il 1900 hanno evidenziato che la conoscenza del mondo si può conseguire solo a patto di potenziare continuamente sia la tecnica di misura, i modi di osservare la realtà, sia il linguaggio matematico. La crescita della fisica, pertanto, porta a forme di conoscenza molto elaborate che si allontanano sempre più dalle capacità espressive dei nostri linguaggi quotidiani. Gli attuali tentativi di spettacolarizzare i fenomeni naturali e le leggi fisiche che li sottendono, in rete e nei talk show televisivi, forniscono una visione fallace e banalmente semplificata della realtà, essi distorcono ed offuscano il vero significato di ogni fenomeno osservato.

Scena finale del film Dottor Stranamore di Stanley Kubrick.

Il ruolo della fisica è oggi al centro di vivaci dibattiti. Se da un lato la fisica ha apportato notevoli contributi alla conoscenza del mondo naturale, consentendo l’utilizzo delle sue scoperte a vantaggio dell’uomo, dall’altro è forte il timore di un uso improprio degli stessi strumenti fisici. Lo spettro della bomba atomica è sempre presente: l’uomo deve prenderne coscienza e adoperarsi in ogni modo per scongiurare tale pericolo. Le conseguenze, in caso contrario, sarebbero apocalittiche: ciò che è in gioco è l’esistenza dell’umanità, di quella stessa umanità che ha nelle sue mani il proprio destino.

Referenze bibliografiche

1 A. Einstein – L. Infeld L’evoluzione della Fisica, Boringhieri

2 C. Bernardini – La Fisica: scienza e linguaggio, Garzanti

3 E. Segrè – Personaggi e scoperte della fisica classica –
Personaggi e scoperte della fisica contemporanea, Mondadori

4 AAVV – Conoscere Fermi a cura di C. Bernardini e L. Bonolis, Mondadori

5 La Fisica di Berkeley voll I – IV

Rivedi la diretta della webradio … and Radio Alveare Plays andato in onda il 14 febbraio 2021 il cui tema trattato è Analisi demografica della popolazione dei piccoli comuni montani.

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