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Docenti – studenti: Incontro intergenerazionale

Il “disturbo da deficit d’attenzione” è da imputare al soggetto che deve prestare attenzione oppure al messaggio stesso? O per meglio dire, il messaggio è portatore di concetti, immagini, idee che possono trovare nel ricevente lo stesso terreno fertile dell’emittente?

di Georgia Gratsia

* “Il primo giorno di scuola” di Elvira Colognori.

Laureata in Scienze dell’Educazione (Italia) e in Filosofia, Pedagogia e Psicologia (Grecia).

LE NUOVE METODOLOGIE COME STRUMENTO PER COLMARE IL DIVARIO INTERGENERAZIONALE

In una società dove gli stimoli e gli emittenti sono molteplici ci possono essere “realtà”, “mondi interi” oppure “quartieri” che non incrociano gli stessi percorsi. Una di queste realtà è il divario generazionale, cioè la distanza temporale e culturale che separa la generazione degli insegnanti da quella degli alunni. In molti casi le categorie culturali, a cui le generazioni si riferiscono, quali concetti, idee, personaggi pubblici, musicisti, attori, sportivi, film ed altro, non sono riempite dai medesimi contenuti. Non di secondario rilievo è l’ordine di importanza con cui le categorie sono classificate.

La proliferazione di mezzi di comunicazione e la possibilità che danno soprattutto i social a una miriade di persone di esporre le loro idee, caratteristiche, creazioni, possono fare sì che generazioni intere non si incontrano per un lungo tratto del loro percorso. In tal modo accade che la tanto desiderata libertà d’espressione, grazie ai nuovi mezzi, favorisce la nascita di celle dove vi accede un piccolo numero di persone e fino a quando non vi si imbatte si rimane scollegato da questo microcosmo.

Immaginiamo ora un/a professore/ssa appartenete alla generazione degli anni ottanta dello scorso secolo quando ancora egli/ella era studente e il docente dell’epoca utilizzava esempi presi dalla realtà per meglio far comprendere l’argomento della lezione e contemporaneamente mantenere alto il livello di attenzione della classe. In quella società non ancora aperta alle tante fonti di comunicazione o, meglio dire, quando vi erano pochi canali televisivi e con lo stesso metodo di comunicazione, risultava abbastanza facile trovare contenuti comuni su cui innestare la lezione. Oggi, è evidente che questa metodologia didattica è quasi impraticabile.

“Scuola al Cairo” di John Frederick Lewis.

Alla luce della suddetta riflessione e considerata la velocità della società attuale è spontaneo chiedersi come sia possibile mantenere l’attenzione dello studente, o peggio ancora della classe, su concetti astratti per i quali vi è un’oggettiva difficoltà nel trovare esempi concreti che siano condivisi tra il gruppo classe e il docente.

Innanzi a tale problema la risposta che spesso viene data è di imputare delle colpe all’abitudine ormai diffusa di una comunicazione veloce di un messaggio, modalità utilizzata prima della pubblicità e poi divenuta regola dai social. Tuttavia, in questa sede l’intento non è di analizzare tali aspetti e la loro fondatezza ma è di restare sull’aspetto della mancanza di contenuti comuni.

La proliferazione di mezzi di comunicazione, quindi, è un danno per la società attuale? La tanto attesa libertà d’espressione per la quale l’uomo ha combattuto pare oggi che possa addirittura danneggiare l’insegnamento? Evidentemente non è così. La scienza – intendendo lo studio di tutte le materie – ha come scopo il raggiungimento di un livello di comunicazione e comprensione che superino la contingenza del caso particolare e giungano ad una svincolata sintesi.

Tuttavia, per raggiungere detto livello c’è bisogno di rendere concreti i concetti al fine di favorirne l’osmosi didattica. Ecco che nascono i laboratori didattici, le metodologie del cooperative learning, del peer to peer, del flipped classroom, del brain-storming, che concorrono a sopperire tra le altre cose anche alla mancanza di efficacia nella comunicazione tra insegnante ed alunno.

Già nel 1896 John Dewey aprì una scuola sperimentale nella città di Chicago. Il suo obiettivo era quello di «far riconoscere la centralità dell’allievo nel processo educativo per conoscere le sue risorse psicologiche e guidarle verso risultati soddisfacenti».

Oggi i laboratori didattici si applicano anche per argomentazioni teoriche al fine di manipolare oggetti concettuali e/o di sviluppare abilità personali, sociali e cognitive. Gli strumenti necessari sono apparati digitali come anche le storiche carta e matita con i quali riuscire a realizzare artefatti cognitivi come progetti, rapporti, filmati, presentazioni ed altro.

“Gli scolari” di Felice Casorati.

«I principi didattici di riferimento, i meccanismi cognitivi attivati, le leve motivazionali utilizzate sono gli stessi» ma la produzione da parte dello studente di un materiale in base a quanto ha appreso tramite la pratica del laboratorio fa sì che si superino alcune difficoltà eventualmente createsi durante la lezione frontale.

È del medesimo studioso anche la promozione della metodologia del cooperative learning attraverso cui gli studenti, divisi in piccoli gruppi, apprendono aiutandosi reciprocamente e in più si responsabilizzano del percorso altrui. Oggi questa metodologia può venire in aiuto facilitando lo scambio di informazioni direttamente tra gli studenti – con  l’insegnante nel ruolo di facilitatore ed organizzatore delle attività – ove formare un bagaglio culturale in comune.

Peer to  peer, letteralmente “educazione tra pari” é una metodologia in base alla quale alcuni membri di un gruppo vengono formati per svolgere all’interno del gruppo stesso il ruolo di educatore nei riguardi di loro coetanei. Il gruppo di pari, oltre a fungere da contesto per la costruzione delle singole identità, per la socializzazione e per il mettersi alla prova confrontandosi e aprendosi al dialogo ed all’ascolto, favorisce la costruzione di una rete comune di informazioni e di nessi culturali.

Di più recente diffusione – siamo negli anni 2000 – é la flipped classroom (classe capovolta), nata dalla sperimentazione di due docenti statunitensi, Bergmann e Sams, dove fornendo ad ogni studente materiale da elaborare individualmente a casa propria, favorisce la possibilità di acquisire una serie di informazioni da utilizzare successivamente in classe al fine di avviare un lavoro attivo con la guida del professore. Anche con questa metodologia il risultato finale è il medesimo, ovvero stimolare ancora una volta un lavoro su un terreno comune.

L’approccio, centrato sullo studente, favorisce metodologie attive con compiti individuali e di gruppo che stimolano il pensiero critico, l’approfondimento tematico, la creatività, la selezione di materiale in funzione alle caratteristiche e agli interessi degli studenti, ma crea anche un bagaglio comune di paradigmi.

“Uscita da scuola” di Antonio Salvato.

Il brainstorming, diffuso da Alex Faickney Osborn, consiste in una “tempesta” di idee proposte dai componenti di un gruppo (nel nostro caso gli alunni di una classe) senza limiti di qualsiasi tipo (le idee possono essere strampalate, paradossali o apparentemente con poco senso senza che queste vengano censurate).

Anche con questa ultima metodologia si pone al centro dell’azione didattica lo studente e si abbatte l’ostacolo del divario generazionale-culturale allargando sempre di più una rete di interconnessione tra i singoli membri del gruppo, insegnante compreso.

Si rende evidente, quindi, la necessità di valorizzare ulteriormente le nuove metodologie didattiche superando l’ostacolo che l’abitudine e/o la tradizione scolastica ci ha trasmesso.

Ma questo è anche il valore aggiunto della scuola; vale a dire coltivare e mantenere vivo il contatto intergenerazionale tramite un substrato di contenuti  solido ma anche maneggevole sul quale possano incontrarsi e lavorare varie generazioni. Condizione necessaria affinché si potrà continuare a mettere basi su basi per il futuro.

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